Curiosamente, la madre di Niobe è incerta; il padre, no: è Tantalo. Nella mitologia greca, Niobe incarna la superbia punita: lei si vanta con la dea Latona di avere quattordici splendidi figli e questa, che ha dato alla luce Apollo e Artemide, li manda a fare strage della folta prole. Il niobio, che da Niobe prende il nome, è un elemento chimico oscuro, che occupa quella fascia anonima della tavola periodica degli elementi piuttosto trascurata quando la si studia a scuola: i metalli di transizione. Neppure il padre del niobio è certo: convenzionalmente la sua paternità si attribuisce al chimico inglese Charles Hatchett (che lo chiamò colombio nel 1801): solo qualche decennio più tardi fu isolato e codificato con il nome attuale, restando un quadratino ignorato nella tabella di Mendeleev.

Il niobio però si sta prendendo una rivincita e ha qualche ragione per peccare di superbia: un recente reportage di Bloomberg mostra come, nel crollo delle commodities che ha accompagnato il ribasso delle quotazioni del petrolio, questo materiale stia guidando la possibile riscossa dei metalli. Le qualità che lo rendono estremamente appetibile sono la resistenza e a leggerezza nel comporre leghe che si prestano a svariate applicazioni: condutture, piattaforme, turbine, motori, industria dell’auto e della nautica, ma anche informatica, nucleare, edilizia. Ad aumentare l’interesse c’è un’altra caratteristica: è piuttosto raro. È anche per questo che sui centri estrattivi del materiale si è scatenata una corsa mondiale in totale controtendenza rispetto agli elementi simili, penalizzati da un mercato fiacco. Un colosso cinese ha di recente mosso 15 gruppi per garantirsi, offrendo oltre un miliardo e mezzo di dollari, un giacimento di proprietà angloamericana in Brasile. Perché la quasi totalità dell’offerta mondiale di niobio viene dal paese carioca, grazie a due aziende: la Cia Brasileira de Metalurgia & Mineracao (84%) e la Anglo American (7%). Il restante 7% è estratto in Canada, e venduto dalla Niobec. Oggi il niobio vale 40 dollari al chilo: sette volte il rame. A fare salire i prezzi è il fatto che il materiale ha una strategicità crescente sia per l’America sia per l’Europa, all’interno dei cui confini non viene prodotto. Cina, Ue, Usa e Giappone compongono la quasi totalità della domanda mondiale (di circa 100mila tonnellate annue, prodotte soprattutto in lega col ferro e in continua crescita).

Nel 2018 inizierà a sfornare niobio anche la Tanzania, grazie agli investimenti fatti dall’australiana Cradle Resources Ltd, le cui quotazioni in Borsa sono raddoppiate negli ultimi tre mesi. Le applicazioni sono in rapida espansione, anche perché il niobio è un perfetto sostituto per i componenti delle attuali leghe metalliche: riduce, per esempio, la massa complessiva di un modello medio di automobile di oltre 100 kg e, se inserito nell’acciaio, ne aumenta la resistenza del 30%. Inoltre ha caratteristiche uniche nel non deformarsi alle altissime temperature, il che lo rende utile anche nell’industria aerospaziale. Poi è un superconduttore, si presta ad applicazioni scientifiche (le 338 cavità di uno dei principali acceleratori al mondo, il Jefferson Lab in Virginia, sono fatte di niobio, e ognuna costa 30mila dollari) e mediche (dalle protesti all’ottica: le lenti col niobio sono più leggere delle altre), informatiche (dispositivi di memoria avanzati), perfino della gioielleria: il niobio trattato dà colori durevoli, permanenti e iridescenti come fucsia, porpora, verde e turchese. E ci si ricavano ottimi diamanti sintetici.

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