MADRID – A giudicare dagli ultimi sviluppi politici in Spagna sembrerebbe esserci molta pazienza per il re in primis, fra i politici e i cittadini in secundis, ma i dati economici iniziano a segnalare i primi sintomi della crisi politica nazionale.
Dal 20 dicembre si sono susseguite molte voci, tante proposte di accordi, ma pochi provvedimenti decisivi. L’esito delle elezioni è stato complesso dal punto di vista dei numeri, eppure sono mesi che si susseguono le schermaglie partitiche senza che ne sia seguito qualcosa di concreto.
Ancora una volta, dopo una lunga serie di incontri prima bilaterali e poi trilaterali fra PSOE, Ciudadanos e Podemos, la situazione sembrava promettere bene. Invece i leader di Podemos, in occasione di una conferenza stampa trasmessa sulle frequenze di Onda Cero e Iñigo Erregòn, hanno ribadito il proprio no al patto di Pedro Sànchez con Albert Rivera e puntano a un governo riformista e di cambiamento.
Uno dei maggiori problemi per il leader socialista di fronte alle proposte di Podemos sarebbe però, sulla base dei numeri elettorali, l’inclusione dei partiti indipendentisti e separatisti regionali, compromesso inaccettabile per Sànchez.
Intanto, mentre sembrano susseguirsi le schermaglie elettorali a sinistra, a destra il governo di Rajoy attualmente in funzione è sempre più in difficoltà, visto un probabile coinvolgimento di molti suoi esponenti nelle rivelazioni dei Panama Papers, che stanno mietendo gran parte della classe politica spagnola e internazionale. Su tutti l’ex ministro dell’Industria, fresco di dimissioni, Jose Manuel Soria.
Infine, tanto per mescolare le carte in vista di un potenziale governo, il vicesegretario dell’organizzazione del Partido Popular Fernandez Martìnez Maillo ha rinnovato, attraverso sue dichiarazioni ufficiali, i rumors di un contatto tra Sanchez e Rajoy, che ha destato non poco sgomento nelle sinistre.
Di fronte a tutto questo, e viste soprattutto le prese di posizione ideologiche dei partiti in fragili castelli di carta, l’unica risposta sembra essere veramente la convocazione di nuove elezioni, previste, secondo calendario, il prossimo giugno.
In tutto questo, indipendentemente dagli esiti politici attesi nella prima settimana di maggio, sono i dati economici a marcare maggiormente lo stato di crisi della classe dirigente spagnola.
L’ultimo documento di bilancio presentato dall’attuale ministro dell’economia Luis de Guindos prospetta maggiore disoccupazione e un deficit del 3,6% per i prossimi due anni, eppure l’attuale governo è pronto a restituire il 50% della paga extra, soppressa nel 2012 ai funzionari pubblici. Inutile dire che questa mossa sia stata vista in chiave squisitamente elettorale.
L’Unione Europea è comunque pronta a valutare se questa flessibilità superiore al 3% del deficit sia accettabile in ambito comunitario o se sarà necessario prendere provvedimenti.
Così, sebbene il pattinatore Javier Fernàndez sia stato premiato in queste ore direttamente da Rajoy per le tante vittorie professionali in carriera, esempio per tutto il Paese, l’impegno politico spagnolo appare tutt’altro che prossimo a quello dei suoi beniamini sportivi.

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