Atlante politico. Sondaggio Demos, svolta di opinione. Il 45% giudica peggiore la corruzione di oggi rispetto alla Prima Repubblica. E le intenzioni di voto fanno tremare Renzi

Tira una cattiva aria sull’opinione pubblica. Avvelenata dagli scandali che hanno coinvolto leader politici e di governo. In particolare: la ministra Federica Guidi. Ma hanno investito anche personaggi noti dell’impresa, dello sport e dello spettacolo, non solo italiani. Risucchiati nella vicenda dei patrimoni offshore. Il sondaggio condotto, nei giorni scorsi, da Demos per l’Atlante Politico e pubblicato oggi su Repubblica mostra come questi avvenimenti abbiano prodotto effetti significativi sugli orientamenti politici ed elettorali degli italiani.

 

D’altronde, le dimissioni della ministra Guidi vengono considerate doverose, meglio: obbligate, da quasi tutti gli italiani (intervistati): 85%. Ma quasi 3 elettori su 4 ritengono questa vicenda grave e problematica anche per il governo. Il 45% di essi, quasi metà, dunque, pensa che il governo dovrebbe dimettersi. Perché troppo invischiato in conflitti di interessi. Anche se la maggioranza degli italiani (quasi il 50%) ritiene, al contrario, che, il governo debba “andare avanti”. L’Atlante Politico di Demos, dunque, propone l’immagine di un Paese diviso. Dove metà dei cittadini vorrebbe voltare pagina. Affidarsi a una guida diversa. Il problema, però, è che mancano alternative credibili. “Più” credibili, almeno. La fiducia nel governo, infatti, scende poco sotto il 40%. Cioè: il punto più basso dalla scorsa estate. Ma, comunque, vicino ai livelli osservati negli ultimi mesi.

LE TABELLE

Peraltro, il 20% (degli intervistati) pensa che il governo Renzi durerà, al massimo, qualche mese. Ma il 44% è convinto, al contrario, che riuscirà a concludere la legislatura. Parallelamente, la fiducia “personale” nel premier si attesta sul 40%. Lontano dai fasti del 2014, quando, dopo le elezioni europee, volava verso il 70%. Tuttavia, negli ultimi mesi, non ha subìto cali significativi. Nonostante i problemi economici e politici. Nonostante vicende sgradevoli, come quella che ha coinvolto la ministra Guidi. Peraltro, Renzi si conferma ancora il leader politico più apprezzato dagli italiani. Avvicinato da Giorgia Meloni, candidata dei FdI e della Lega (Nord?) nella corsa al Campidoglio. Molto competitiva, secondo i sondaggi. E da Matteo Salvini, segretario della Lega. Non lontano da loro – e dunque da Renzi – incontriamo anche Luigi Di Maio, vice-presidente della Camera. Fra gli esponenti più autorevoli del M5s. Silvio Berlusconi, invece, conferma il proprio declino politico. “Stimato” da poco più del 20% degli elettori. La metà rispetto a Renzi. E 4 punti in meno di due mesi fa.

Si assiste, dunque, a un raffreddamento del clima d’opinione. Lo ripeto, perché, questa volta e in questa fase, il cambiamento risulta evidente. Quasi una svolta. Dettata dal cumularsi di sfiducia e delusione sociale. Un po’ come 25 anni fa. Ai tempi di Tangentopoli. Non per caso il 45% degli italiani ritiene che la corruzione politica, oggi, sia più diffusa di allora. Mentre una parte altrettanto ampia di cittadini pensa che sia altrettanto estesa.

Nove italiani su dieci, praticamente tutti, ritengono, dunque, che Tangentopoli non sia mai finita. Ma sia, se possibile, più opprimente. Fra i protagonisti, manca solo la magistratura. Differenza di non piccolo rilievo. Oggi, semmai, gli elettori hanno sostituito i magistrati con alcuni soggetti politici. A cui hanno affidato il compito di “vendicarli”. Comunque, di gridare forte il disprezzo e la sfiducia popolare. Per primo e soprattutto: il M5s. Non per caso, il partito ritenuto più credibile (dal 31%) nel contrasto alla corruzione. Anche per questo i suoi esponenti ottengono un favore crescente. Luigi Di Maio, in particolare. Il consenso popolare nei suoi riguardi è salito di 7 punti nell’ultimo anno. Ormai, molto vicino a Renzi. Come Salvini, d’altronde. Che si presenta, a sua volta, come “giustiziere” della politica e dei politici corrotti.

Gli effetti di questo clima (anti)politico sul piano delle stime elettorali sono evidenti. La distanza fra i primi due partiti, PD e M5s, infatti, si è sensibilmente ridotta. In seguito al calo del PD (circa 2 punti) e alla concomitante crescita del M5s, la distanza fra i due soggetti si riduce a poco meno di 3 punti. A destra, invece, si muove poco. La Lega di Salvini si avvicina al 14% e scavalca FI. Mentre, più indietro, i FdI si attestano intorno al 5,5%. Come, sul versante opposto, SEL, SI e le altre formazioni a sinistra del PD.

Ma gli scenari cambiano sensibilmente quando si prende in considerazione il ballottaggio, previsto dalla nuova legge elettorale. L’Italicum, nel “linguaggio politico” corrente. Allora la partita appare incerta. Anche se i meccanismi del nuovo sistema elettorale non sono ancora chiari. Nel caso che gli sfidanti fossero la Lega e FI (federate, insieme ai FdI, in una lista-cartello, per istinto di sopravvivenza), il PD si affermerebbe di appena 1 punto. Troppo poco per fare previsioni. Lo stesso avverrebbe se al ballottaggio arrivasse il M5s. In questo caso, però, il sondaggio di Demos disegna uno scenario inedito. Che prevede il sorpasso del M5s sul Pd. Anche in questo caso, occorre prudenza, vista la distanza, ridotta, fra i due partiti (che non supera il margine di “errore statistico”).

Naturalmente, il PD, nel ballottaggio, potrebbe contare sul voto “personale” al premier. Molto più conosciuto e visibile rispetto ai candidati del M5s. Tuttavia, è anche vero il contrario. La capacità del M5s di intercettare il voto “contro” potrebbe trasformare il confronto elettorale in una sorta di referendum. “Contro” Renzi. Replicando, all’inverso, l’operazione concepita dal premier in occasione del referendum costituzionale del prossimo autunno. Secondo alcuni (fra gli altri, Gianfranco Pasquino), un “plebiscito”.

Così, se il clima d’opinione e l’insoddisfazione degli elettori continuassero a scaricarsi sul PD, Renzi

potrebbe cambiare strategia. Investire sul governo più che sul partito. Presentarsi come “uomo di Stato” più che da “leader politico”. Così, il soggetto politico centrale, in Italia, non sarebbe più il PDR. Ma il GdR: il Governo (personale) di Renzi.

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