5 bufale pubblicitarie sui “grani antichi”
Non sono affatto antichi, contengono glutine come i “grani moderni” e non sono adatti ai celiaci. Sono frutto di modificazioni genetiche e per aumentarne la resa servono diserbanti e concimi. Poi possono piacere o meno…

La rivista online Wired ha pubblicato questa interessante ricerca:

Da qualche anno ormai si parla molto dei cosiddetti grani antichi, intesi come un’insieme di varietà del grano diffusamente coltivate nei primi decenni del secolo scorso e oggi quasi del tutto scomparse. Perché? Hanno rese più basse rispetto ai frumenti più moderni, siccome sono grani poco adatti alle coltivazioni intensive con processi meccanizzati. Tra questi grani, alcuni dei più chiacchierati sono le varietà Tumminia, Saragolla, SenatoreCappelli, Russello, Bidì, Biancolilla, Maiorca e Perciasacchi, che si riconoscono perché di solito hanno un fusto più alto rispetto ai grani moderni.

Di grani antichi ha scritto anche qualche giorno fa Il Sole 24 Ore, raccontando alcune delle motivazioni imprenditoriali che spingono gli agricoltori (soprattutto delle regioni meridionali) a reintrodurre queste varietà. Le argomentazioni pubblicitarie e le preferenze gastronomiche, però, non vanno confuse con la storia e le proprietà scientifiche di questi alimenti. Complice la scarsa regolamentazione, oggi spopolano molti articoli pubblicati su siti che fanno disinformazione a proposito di grani antichi e sfruttano la poca attenzione della comunità scientifica per trarre conclusioni di fantasia e giustificare prezzi molto più alti, creando falsi miti.

Ecco un elenco delle argomentazioni che si sentono più spesso.

1. I grani antichi NON sono affatto antichi
Quando si usa l’aggettivo antichi, qualcuno potrebbe immaginare si tratti di varietà che vantano storie plurisecolari o millenarie.

 

Ma non è affatto così: il già citato grano Senatore Cappelli, per esempio, è stato ottenuto nella prima metà del Novecento dal genetista agrario Nazareno Strampelli, attraverso una serie di incroci successivi di semi diversi che avevano come obiettivo il miglioramento della varietà Rieti, che a quel tempo era la più diffusa. Tutta la storia è stata raccontataqualche anno fa da Dario Bressanini. Nella maggior parte dei casi i grani antichi sono varietà ad alto fusto selezionate nei primi quarant’anni del secolo scorso, che hanno circa cent’anni di storia.

Una vicenda simile è quella del Kamut, che non è il nome una varietà di grano (sarebbe il QK-77, registrato negli Stati Uniti), ma un marchio commerciale che produce e vende in regime di monopolio una varietà che – secondo la leggenda – sarebbe stata ritrovata in una tomba egizia. Si tratta però di una mossa pubblicitaria, non di una verità storica.

2. I grani antichi HANNO subito modificazioni genetiche
Certamente è vero che i grani oggi più largamente utilizzati sono frutto di incroci e ibridazioni, ma lo stesso vale anche per tutti gli altri cereali, che nel corso dei millenni sono arrivati a noi attraverso un processo diselezione genetica e di continue modifiche. Sia i grani antichi sia quelli moderni (italiani) non sono prodotti ogm, ma in entrambi i casi si tratta del risultato di modificazioni genetiche e incroci che si sono susseguiti in oltre 8mila anni di storia. La prima varietà di grano si ritiene sia nata poco dopo il 7mila a.C. da una fusione, ovviamente casuale, tra il genoma del farro e quello di una graminacea conosciuta come Aegilops o erba delle capre.

3. I grani antichi NON contengono meno glutine
Secondo uno slogan molto frequente, i grani antichi avrebbero un contenuto di glutine inferiore rispetto alle varietà moderne. Tuttavia questa affermazione non ha una base scientifica, in quanto le quantità di glutine sono grossomodo le stesse, e anzi il contenuto è di solito superiore a quello dei frumenti teneri e di alcune varietà di frumento duro. Ci sono piccole differenze tra le diverse varietà, ma non si può affermare in generale che il contenuto di glutine sia inferiore, semmai il contrario. L’unica differenza dimostrata è la qualità del glutine, che nei grani moderni è meno elastico e meno tenace (e perciò anche più adatto alla conservazione).

Di conseguenza, i grani antichi non sono affatto adatti a chi è celiaco. L’effetto del glutine è meno forte rispetto ai grani moderni, ma non per questo possono essere assunti da chi soffre di celiachia. La disinformazione su questo punto, purtroppo molto diffusa, può generare fraintendimenti con conseguenze gravi per la salute.

4. I grani moderni NON sono la causa di intolleranze e celiachia
Spesso si accusano le nuove varietà del grano di essere l’origine di un aumento dei casi di celiachia e di altre intolleranze alimentari. In realtà rispetto al passato sono aumentate le diagnosi, ma non per forza l’incidenza di questi disturbi. A oggi non ci sono prove scientifiche a sostegno di un collegamento tra grani moderni e aumento della celiachia. Per di più non ci sono riscontri che dimostrino una maggiore salubrità dei grani antichi rispetto a quelli moderni.

5. I grani antichi HANNO bisogno di diserbanti e concimi…
…come qualsiasi tipo di coltivazione, se l’obiettivo è incrementare la resa. Una delle ragioni che rende i grani antichi meno impiegati è la quantità di raccolto, molto inferiore rispetto alle varietà moderne (che rendono 4-5 volte di più, fino ai 50 quintali di grano duro per ogni ettaro di terreno agricolo). Questo consente, per esempio, di produrre sufficienti quantità di grano per l’alimentazione limitando l’estensione dei terreni da destinare alle coltivazioni, o magari scongiurando il pericolo di carestie. Se immaginiamo di disinteressarci alle quantità di grano ricavato, allora può valere qualsiasi affermazione (tranne quando si scrive, come nell’articolo già citato, che “quando le trebbiatrici si mettono in azione nei campi, a causa dei trattamenti, non c’è praticamente vita”), ma è raro che la resa sia un parametro trascurabile.

Che cosa si intende con “grano autoctono”?
Il termine autoctono riguarda l’area geografica di origine (o meglio, di domesticazione) di un prodotto. In questo senso il grano è originario della mezzaluna fertile, così come il mais è messicano e i pomodori sono americani. Si può correttamente definire autoctona anche una coltura trapiantata e nel tempo modificata per adattarsi alle caratteristiche dei nuovi terreni e al clima. In questa accezione possiamo dire che il grano Rieti, da cui è stata ricavata la varietà Senatore Cappelli, è autoctono siciliano, nonostante sia stato ottenuto a partire dalla varietà Jeahn Rhetifah, che è di origine tunisina. Nessuno dei grani che conosciamo è in Italia da sempre, ma proviene da altre parti del mondo e in Italia si è ulteriormente modificato.

Quando ha senso parlare di grani antichi?
I grani antichi possono essere una risorsa in termini di tutela della biodiversità agroalimentare, così come rappresentano un’alternativa valida alle coltivazioni standard nelle aree impervie o difficilmente raggiungibili, dove le tecniche dell’agricoltura intensiva sono impraticabili. Allo stesso modo, i grani antichi possono essere un modo per conservare, riscoprire o raccontare antiche tradizioni, dai mulini ad acqua alle lavorazioni manuali della terra, perciò possono avere una funzione culturale e storica.

Ci sono poi le questioni di gusti, e le peculiarità gastronomiche, che possono o meno incontrare il favore dei consumatori e dei critici. I pani prodotti con grani antichi, ad esempio, hanno una crosta più spessa e una mollica meno alveolata, che tende a restare più umida e produce briciole più piccole. A seconda delle varietà possono cambiare anche le proprietà nutrizionali e di pastificazione, per le quali le valutazioni soggettive possono essere le più varie.

Chi propone i grani però sfrutta il vuoto normativo, la mancanza di informazione e l’assenza di regolamentazioni e certificazioni, utilizzando il termine antichi come slogan pubblicitario. Spesso gli sfarinati presentati come antichi non sono puri al 100%, ma anzi sono ottenuti da miscele con grani moderni o con l’aggiunta di altre sostanze capaci di rendere gli impasti più soffici e semplici da lavorare. Non di rado i prodotti come pani e pizze spacciate per antiche contengono farine nella cui composizione solo qualche punto percentuale proviene da grani antichi.

Il consumatore è libero di scegliere il tipo di grano che preferisce, così come ogni agricoltore può decidere quali colture adottare. L’importante è che nessuno sia ingannato da falsi slogan e solo per questo accetti di pagare un prezzo più alto.

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